Ahiṃsā (devanagari अहिंसा) è un termine sanscrito generalmente tradotto con “non-violenza”, composto da a, “non”, e hiṃsā, forma desiderativa del verbo han “uccidere” o “nuocere”.
Il termine compare per la prima volta nella Chāndogya Upaniṣad, il concetto fu poi elaborato e sviluppato nei secoli in testi come la Bhagavadgītā, i Purāṇa e la letteratura buddista, originalmente inteso come “assenza del desiderio di uccidere”, ferire o danneggiare in alcun modo qualunque essere vivente.
Ahimsa è il primo dei cinque Yama, spesso considerato il più importante. Gli Yama possono essere tradotti come astinenze o freni e sono considerati come dei principi etici che hanno lo scopo di migliorare il modo in cui uno yogi si comporta verso se stesso e verso gli altri. Gli Yama possono essere visti come l’inizio del percorso del praticante, il punto di partenza, il luogo dove il cammino ha inizio.
Patanjali dedica al principio di Ahimsa il sutra 2.35:
In presenza di una persona fermamente stabilita nella non violenza, tutte le ostilità cessano.
Questo significa che quando una persona rispetta fermamente il principio di non-violenza, chi è intorno a lui viene fortemente influenzato.
Il principio di Ahimsa ha un significato molto esteso, con questo termine infatti si intende non-violenza verso persone, animali, cose, ambiente e anche verso se stessi: vuol dire non fare del male a nulla e nessuno, rispettare la vita in ogni sua manifestazione ed essere in connessione con essa in tutte le sue espressioni. La non-violenza deve essere alla base delle relazioni tra gli umani e tutte le altre creature.
Ahimsa verso sé stessi
Occorre non fare del male agli altri ma soprattutto non fare del male a se stessi.
Le forme di violenza che applichiamo verso noi stessi possono essere trattare male il proprio corpo, non prendercene cura o mangiare in eccesso. Oppure quando durante la pratica dello yoga si eseguono le posizioni esagerando, solo per arrivare ad eseguire la variante più difficile.
Quando si esagera durante la pratica si commette una violenza verso se stessi e quando questo accade la pratica dello yoga non dona benefici, ma addirittura può anche provocare danni.
Il principio di non-violenza invece dovrebbe essere sempre presente nella mente dello yogi perché è tra i più importanti. Bisogna sempre rispettare il proprio corpo, avere pazienza, ascoltarsi profondamente, cercando di non infrangere mai Ahimsa.
Ahimsa nei pensieri
La non-violenza non va praticata solo attraverso le azioni, anche le parole e i pensieri non devono essere violenti o aggressivi. Occorre quindi modificare non solo le azioni, ma anche i pensieri che generano violenza, le parole, la visione condizionata, il vedere gli altri già con una certa predisposizione.
Non fare violenza agli altri è rispettare la diversità di pensiero e di sensibilità di ciascun individuo. Si può pensare in maniera differente da come la pensa un’altra persona, ma cercare comunque un incontro nello spazio di discussione con un cuore aperto e amorevole, con l’ascolto e non con l’imposizione.
Quando qualcuno commette un errore noi possiamo aiutarlo a capire questo errore, senza peggiorare la situazione e umiliarlo ulteriormente. La questione è generare la comprensione con l’amore e non con la rabbia provocando una ferita ancora più grande.
È importante essere umili e non sopravvalutare se stessi a scapito dei sentimenti degli altri.
Questo non significa che non dobbiamo essere felici o non dobbiamo ottenere ciò che vogliamo, ma non dobbiamo perdere noi stessi in questo. Non possiamo prendere con la violenza qualcosa a cui non arriviamo o che vogliamo per noi stessi, in questo modo rimarrà sempre un vuoto che dovrà essere colmato.
Ahimsa nell’alimentazione
Un altro aspetto fondamentale è l’alimentazione: ritengo che, soprattutto chi intraprende un percorso yogico, debba fare molta attenzione anche alla propria alimentazione, a quello che porta sulla propria tavola, perché anche mangiare è una forma di violenza. Ci nutriamo utilizzando risorse che a loro volta sono vive e spesso mangiamo più di quanto sia necessario per garantirci una buona salute.
Praticare Ahimsa nell’alimentazione significa non nuocere a nessuna creatura e non cibarsi della sofferenza di nessun animale. Perché a differenza di quanto afferma il pensiero generale, gli animali non sono su questo Pianeta affinché noi possiamo nutrircene, ma sono qui insieme a noi ed esattamente come noi. Dobbiamo riuscire a comprendere questo.
Inoltre quello che mangiamo definisce anche quello che siamo poiché assorbiamo le energie dai cibi. Una creatura che ha conosciuto solo la sofferenza, vivendo una vita breve e piena di torture, che è stata condannata a morte prematuramente – quando invece tutto ciò che desiderava era semplicemente vivere – non può che trasmetterci quelle stesse energie che ha provato e vissuto.
Tuttavia, è praticamente impossibile praticare una totale non-violenza per quanto riguarda l’alimentazione, perché ad esempio anche essendo vegetariani o vegani uccideremmo comunque i microrganismi presenti nell’aria e le piante che mangeremmo. Possiamo però metterci in cammino verso delle scelte più rispettose e consapevoli, e se proprio non riusciamo ad evitare di fare del male possiamo almeno impegnarci a farne il meno possibile decidendo di non uccidere, né far uccidere, un animale per nutrircene.
Mangiare vegetariano o vegano implica una violenza minore rispetto a cibarsi anche di carne e derivati animali, soprattutto perché al giorno d’oggi siamo tutti perfettamente al corrente di come vengono allevati e uccisi gli animali sia per quanto riguarda la carne sia ad esempio per la produzione di latte e uova.
Inoltre questi metodi di allevamento non hanno solo un riscontro diretto sugli animali, ma causano anche notevoli danni all’ambiente.
Naturalmente, come ogni forma di vita, abbiamo la necessità di nutrirci, ma ciò che ci contraddistingue è la possibilità di scelta, possiamo quindi adottare uno stile di vita il più possibile rispettoso della natura e dell’ambiente.
La non-violenza ci conduce all’equilibrio e all’evoluzione; per portare Ahimsa nella nostra vita possiamo iniziare a riconoscere gli atti di violenza che facciamo normalmente durante la giornata o quelli che subiamo, tutti gli atteggiamenti che abbiamo e che ci impediscono di sentirci in pace, per poi portarla internamente e cominciare a lavorare sulla nostra intenzione, purificandola dal seme della violenza. Oppure possiamo agire prima sulle nostre intenzioni per poi portare la pace all’esterno.
Si tratta di un processo lungo, che non accade dall’oggi al domani, ma con uno sforzo costante.
Un modo molto efficace per coltivare il principio di non-violenza è quello di praticare molto yoga e meditazione per riuscire a essere più consapevoli dei propri pensieri, perché tutto nella nostra vita nasce dal pensiero, le azioni e le parole infatti hanno sempre origine dai pensieri.
Avere una maggiore consapevolezza di tutto quello che succede nella nostra mente può aiutarci a riconoscere i pensieri violenti e interromperli ancora prima che si manifestino in parole e azioni. Una volta che si è consapevoli dei pensieri violenti che insorgono, si possono eliminare praticando il pensiero opposto, pensando cioè la cosa opposta del pensiero negativo che insorge, ad esempio pensare all’amore, alla pace e al bene ogni volta che ci accorgiamo di avere un pensiero violento. Se un fuoco non viene alimentato si spegne.
Occorre coltivare empatia e compassione. Se ci impegniamo a coltivare l’arte di immedesimarci nell’altro, comprendiamo che l’anima dell’altro è la nostra. Sviluppando questa abilità sviluppiamo l’amore per ogni essere dell’Universo ed entriamo in unione con il Tutto.
Evitare di far del male ad ogni creatura è la vera sapienza, tutto il resto è ignoranza.
BhagavadGita
Quali sono le azioni che compi ogni giorno per portare ahimsa nella tua vita quotidiana? Raccontamelo nei commenti!